Recentemente mi è stato chiesto qualche consiglio turistico su Berlino, della serie “Cosa non posso perdere e cosa posso tranquillamente ignorare” e ho pensato che sarebbe stato un bell’argomento per il blog. Però mi sono anche resa conto che ci vuole del tempo per mettere assieme le idee, e anche un minimo di ricerca, non voglio buttare lì quelle due cose che so e basta. Quindi ci vorrà un po’.
Per il momento, invece, un post rapido e indolore sulla mia visita all’Hamburger Bahnhof, ex stazione ferroviaria trasformata in museo di arte contemporanea. (Piccola divagazione: com’è che noi in Italia quando smantelliamo qualcosa la trasformiamo in un mega centro commerciale, mentre all’estero ci fanno dei musei? Fine divagazione.)
Ho deciso di andarci di giovedì pomeriggio semplicemente perché, in tutti i musei statali di Berlino, il giovedì quattro ore prima della chiusura l’ingresso è gratuito. Sì, lo so, ho il braccino corto. Appena entrata mi ritrovo fra transenne, addetti alla sicurezza, elettricisti e designer – riconoscibili dall’immancabile occhiale con montatura nera alla Arisa. Faccio due passi e vedo una passerella allestita in mezzo all’atrio: effettivamente siamo nel pieno della settimana della moda berlinese, qualche stilista alternativo avrà pensato che questa poteva essere una location molto cool per una sfilata. E non ha tutti i torti, le volte metalliche dell’Hamburger Bahnhof sembrano quelle della stazione centrale di Milano, adattissime alla presentazione di una collezione underground. (Da notare il numero di parole inglesi che ho usato nelle ultime due frasi, è quasi impossibile parlare di moda senza ricorrere a qualche inglesismo.)
Lascio il popolo modaiolo e mi metto a gironzolare fra le sale. Si va dalla gigantografia di Mao di Andy Warhol alla tela tagliata di Lucio Fontana, passando per la riproduzione di un appartamento che sembra quello di Renato Pozzetto ne “Il ragazzo di campagna”. In una saletta viene proiettato il video di un tizio che urla e urla e urla, in un’altra – gelida – quella della realizzazione della “Spiral Jetty”, una gigantesca spirale costruita nel Great Salt Lake, nello Utah. Ammetto che l’arte contemporanea a volte mi lascia perplessa, ma di quello che ho visto all’Hamburger Bahnhof mi è piaciuto quasi tutto.
Prima di essere buttata fuori sono anche riuscita ad assistere alla prova della sfilata, con le modelli e i modelli che marciavano come tanti bei soldatini. Il calco in gesso del busto di Nefertiti che ho visto nella prima sala, però, era molto più bello di tutte le ragazze tutte uguali che ho visto in passerella.
Adesso ti racconto un gustoso aneddoto sul tizio che urla. Anch’io e la mia compagna di viaggio ci siamo state di giovedì, ma siamo arrivate tardi (sul biglietto-abbonamento c’era scritto chiusura alle 20.00 ma in realtà chiudeva alle sei), per cui abbiamo fatto le cose un po’ di corsa. D’altra parte la stanza di Absalon (l’urlatore) ci aveva fatto ammazzare dalle risate (diciamo che il liceo artistico ti lascia in eredità un atteggiamento piuttosto, uh, confidenziale nei confronti dell’arte, insomma tendi a vedere i musei come dei parchi giochi), soprattutto perché ci ricordava un nostro comune amico un po’ squilibrato. Quindi avendo l’abbonamento ci siamo tornate il giorno dopo, e siamo andate dritte da Absalon per filmare la sua performance. E giù a ridere fino ale lacrime (tanto non c’era nessuno)! L’abbiamo visto tipo tre volte di fila, finché il guardiano ha attirato la nostra attenzione e ci ha indicato la targhetta con la spiegazione dell’opera.
Praticamente il tipo era morto di AIDS negli anni ’90, e aveva fatto il video per esprimere la sua disperazione dopo avere scoperto di essere malato. Ci siamo sentite delle merde! Almeno finché non abbiamo riguardato i filmati la sera ed è scattata di nuovo l’ilarità.
(In compenso abbiamo pianto senza ritegno guardando il cortometraggio che proiettavano dove c’era l’esposizione temporanea. Sarà il karma.)
Cavolo, non lo sapevo (sì, sono troppo pigra per leggere le spiegazioni delle opere d’arte). Comunque se l’intento era comunicare disperazione, mi sa che non gli è riuscito mica tanto bene, anche a me ha fatto spaccare dalle risate. Il video del coltello che cambia colore invece mi ha praticamente ipnotizzato. *_*
AAAH! AAAAH! AAAAAH!
Ma io poi mi sono chiesta: ma gli addetti che se ne stanno nella sala accanto e devono sorbirsi le urla tutti i santi giorni, dopo un po’ non danno fuori di matto?
Secondo me sono un po’ come me che abito di fronte alla chiesa e non sento più le campane XD
bello il museo nella ex stazione!eh sì… ci sanno proprio fare i berlinesi per queste cose!hanno un certo.. senso di ottimizzazione delle risorse da prendere da esempio!
e.. haha, quindi anche lì i designer vestono occhiali stile Arisa?!haha
cmq allora tra poche sttimane li cambieranno: pare che al prossimo festival di sanremo Arisa si presenterà con un nuovo look! =P