
La mattina di Pasqua i bambini tedeschi sono impegnati nella tradizionale “caccia alle uova”: i genitori nascondono uova sode decorate in giro per la casa o in giardino e i figli devono ritrovarle tutte. Quest’anno, però, la caccia alle uova è iniziata prima e per motivi meno allegri: dopo la mucca pazza, il pesce al mercurio, l’influenza aviaria e la febbre suina, è la volta delle uova alla diossina.
Com’è possibile che la contaminazione sia avvenuta nella patria del cibo bio, per di più nel Paese che, nell’immaginario collettivo, è rigidissimo e inflessibile nei controlli? Ho dato una rapida occhiata alla stampa tedesca e ho trovato un articolo dal titolo emblematico: “Scandalo diossina: l’abbondanza avvelena il nostro cibo“.
La tesi di fondo è che la corsa al ribasso dei prezzi ha come conseguenza inevitabile una qualità altrettanto bassa e se si è arrivati alla situazione attuale è anche perché i consumatori non si sono mai veramente interessati alla provenienza di ciò che finisce nei loro piatti.
In realtà, in Germania esistono due tipi di consumatori: da un lato quelli che fanno la spesa nei supermercati bio e, potendoselo permettere, spendono molto per avere un cibo sano; dall’altro quelli che comprano nei discount, dove si trovano, riporta l’articolo, “500 grammi di macinato a meno di 2 euro, un litro di latte a 60 centesimi e una confezione da 10 uova (allevamento a terra) a 1,29 euro“.
I generi alimentari tedeschi non sono mai stati tanto a buon mercato: ricordo ancora che ogni volta che facevo la spesa a Berlino pensavo che la cassiera si fosse dimenticata di battere qualcosa perché il totale mi sembrava troppo basso. La produzione industriale garantirebbe anche sicurezza e igiene mai raggiunti prima, eppure qualcosa che non va c’è. E nemmeno gli allevamenti bio sono al sicuro: anche le loro uova riportavano tracce di diossina.
I ritmi serratissimi della produzione di massa impongono l’uso di pesticidi, concimi chimici e allevamenti intensivi per sostenere una produzione sempre più insostenibile, anche a scapito delle fattorie tradizionali: negli ultimi 30 anni il loro numero si è quasi dimezzato, vista l’impossibilità di competere non solo sul fronte della produzione, ma anche su quello dei prezzi, spinti sempre più verso il basso.
Secondo il giornalista è inutile chiedere controlli più rigidi e sanzioni più severe: passato il momento di indignazione collettiva le cose tornerebbero come prima, fino al prossimo scandalo. Invita invece i consumatori a informarsi sulla provenienza del cibo che acquistano e si chiede se valga davvero la pena fare del male non soltanto all’ambiente, ma anche a noi stessi, solo per risparmiare qualche euro.
Fonte immagine: www.sxc.hu
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