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Aktion Arschloch

Di ritorno dalla mia vacanza londinese, scopro che “Schrei nach Liebe”, singolo con cui i Die Ärzte tornarono sulle scene nel 1993 dopo 5 anni di pausa di riflessione, è di nuovo nella top ten in Germania. Il motivo? Un’iniziativa a favore dei rifugiati.

La canzone è un inno antifascista: nel testo la band si rivolge a un neo-nazista, chiamandolo esplicitamente str*nzo (Arschloch) nel ritornello. Originariamente pubblicato in un periodo nel quale i neo-nazi stavano tornando a far parlare di sé, il brano è stato scelto per portare l’attenzione dei media sugli atteggiamenti razzisti che stanno accompagnando l’arrivo di migliaia di profughi in Europa e, soprattutto, in Germania.

Venuta a conoscenza dell’iniziativa, la band ha annunciato che devolverà l’intero ricavato delle vendite e dei diritti d’autore a Pro Asyl, un’associazione che si occupa dei diritti dei richiedenti asilo.

Info: www.aktion-arschloch.de

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A chi non è mai capitato di uscire dal parrucchiere pensando “Ma cos’è ‘sto topo morto che ho in testa?” Il tema viene affrontato, in tutta la sua drammaticità, nella canzone dei Die Ärzte “Mein Baby war beim Frisör” (“La mia ragazza è andata dal parrucchiere”), secondo singolo tratto dal concept album del 1996 “Le Frisur”, interamente dedicato all’argomento capelli.

Il brano narra la vicenda dal punto di vista del fidanzato della sventurata, il quale, vedendola tornare con un’acconciatura discutibile, non la prende molto bene. Il video, girato in un hotel nei pressi di Las Vegas, è un tripudio di cofane fonatissime e colori acidi anni ’90 e le fanciulle che vi compaiono non fanno una bella fine.

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Che la musica pop fosse un ottimo mezzo per migliorare la conoscenza di una lingua straniera lo avevo capito in tempi non sospetti (devo ringraziare il simpatico trio berlinese Die Ärzte se il mio tedesco non è ancora morto). A quanto pare, però, non l’ho capito solo io: qualche tempo fa la sezione francese del Goethe Institut ha usato la canzone “Guten Tag” dei Wir sind Helden come base per esercizi, con tanto di suggerimenti agli insegnanti sulle attività da fare in classe (commentare ritagli di riviste, discussioni sui temi trattati nella canzone ecc.)

Il testo completo si trova al punto 4 del Lehrerblätter ed è incentrato sul linguaggio della pubblicità. Il video è molto simpatico, in stile fotoromanzo Cioè:

Non so quali siano stati i risultati, ma il fattore Ohrwurm è abbastanza alto: male che vada gli studenti sapranno almeno dire “Buongiorno”.

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Ho perso il treno del Mondiale. Nell’estate dominata dal trionfo della nazionale tedesca in Brasile, ho messo il blog in cantina, sorvolando su chicche del calibro dello sketch “cocktail contro birra” e ignorando opere d’arte di sublime bellezza come il fotomontaggio di Angela Merkel in versione ballerina di samba. Potrei mettermi d’impegno e impormi di essere più attiva, di pubblicare qualcosa a intervalli più regolari, ma mi conosco e so già che non funzionerebbe.

Per il momento mi limiterò a condividere l’Ohrwurm del momento, non solo mio a quanto pare, visto che anche il Corriere della Sera di ieri ha dedicato una pagina a questa canzone: “Prayer in C” di Lilly Wood & The Prick, che nella versione remixata da Robin Schulz è diventata un vero e proprio tormentone di fine estate. Ovviamente non potevo non notare il video, girato per le strade di Kreuzberg, il quartiere alternativo di Berlino. Ogni volta che lo guardo mi scende una lacrimuccia…

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Quando la nostalgia di Berlino mi assale all’improvviso, c’è una canzone che mi risolleva sempre il morale: “Dickes B” dei Seeed, band reggae/dancehall berlinese. Nel testo si trovano molti riferimenti a Berlino e ai suoi club e il video è girato in vari luoghi della città, da Alexanderplatz al mercato sulla Maybachufer, dal Berliner Dom a Potsdamer Platz.

 

 

Avevo pensato di tradurre il testo, ma vista la lunghezza ho cambiato idea…

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Potrei scrivere un post sulle imminenti elezioni politiche in Germania. Oppure su quelle locali che si sono svolte ieri in Baviera (anche se credo che in questo periodo gli italiani siano più interessati all’Oktoberfest che all’esito elettorale).

Ma preferisco argomenti più frivoli, quindi parlerò di musica. E visto che la musica per me è stata uno stimolo fondamentale per approfondire  lo studio del tedesco, ho deciso di inaugurare la rubrica della “Canzone del giorno”, sperando possa essere utile a qualcuno.

L’onore del primo post, naturalmente, va al mio gruppo preferito, Die Ärzte, e alla loro canzone forse più famosa, quella che li ha trasformati da gruppo di culto underground a fenomeno da classifica: “Männer sind Schweine”, ossia “Gli uomini sono maiali”. Si tratta di una canzone talmente famosa che il simpatico trio, stufo di sentirla ovunque (è stata una delle hit del 1998) ha deciso di non suonarla più da vivo dopo i tour del 1998 e 1999.

Il video vede i tre mattacchioni berlinesi alle prese con nientepopodimenoche Lara Croft (e non fanno una bella fine) e il testo, come si intuisce dal titolo, è una sottile analisi del modo tipicamente maschile di rapportarsi col gentil sesso.

Ma bando alle ciance e sotto con la musica.

 

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Farin Fernweh

Prima di partire per le meritate vacanze, vi lascio con una parola del giorno adatta al periodo: Fernweh.

Non esiste una vera e propria traduzione italiana: il mio fidato dizionario Garzanti riporta la definizione “nostalgia di paesi lontani”, ma l’espressione non rende appieno il concetto. Fernweh è il contrario di Heimweh, che significa “nostalgia di casa”. La costruzione è la stessa dell’inglese homesickness: Heim significa infatti “casa” (nel senso di home, quindi non semplicemente il posto in cui si vive, ma il luogo degli affetti) e Weh significa dolore. Heimweh richiama alla mente il dolore che si prova quando si è lontani e si pensa alla propria casa, alla propria famiglia, ai propri cari. Fernweh è l’esatto contrario: Fern significa “lontano” e Fernweh è il desiderio di viaggiare, di lasciare la vita di tutti i giorni e mettersi in cammino, vedere il mondo.

La foto che ho scelto per illustrare questo post ritrae un musicista tedesco che incarna perfettamente il concetto di Ferhweh: Farin Urlaub, chitarrista dei Die Ärzte. Già il nome d’arte rivela la passione per i viaggi: è infatti un gioco di parole che significa, più o meno, “Vai in vacanza”. Farin è noto per i numerosi viaggi che lo hanno portato fino in capo al mondo e negli ultimi anni si è dato alla fotografia: nel 2007 ha pubblicato il libro fotografico “Unterwegs 1 – Indien und Bhutan” e nel 2011 “Unterwegs 2 – Australien und Osttimor“.

La Fernweh di Herr Urlaub traspare anche in alcune canzoni dei suoi album solisti, come “Abschiedslied” (“ich wollte immer weg von hier / obwohl ich dich so mag / ich träume von der weiten Welt / so ziemlich jeden Tag“: “ho sempre voluto andarmene da qui / anche se mi piaci così tanto / sogno di vedere il mondo / praticamente ogni giorno”) e “Pakistan” (“ohne Heimweh, ohne Heimat / ohne Koffer, ohne Geld / wir werdens offenbaren in unseren Memoiren“: “senza nostalgia, senza patria / senza valigia, senza soldi / lo pubblicheremo nelle nostre memorie”).

E con questa colonna sonora on the road vi saluto e vado a preparare la valigia. Endlich Urlaub!

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In attesa di scoprire quale sarebbe stata la canzone dell’estate, stavo pensando di inaugurare l’angolo della canzone del giorno, dedicato ai vari gruppi tedeschi che ho scoperto durante le mie scorribande musicali in terra di Germania.

Poi è arrivato lui: motivetto orecchiabile, aria un po’ retro e l’immancabile balletto. La formula perfetta per confezionare il più classico dei tormentoni estivi.

Signore e signori, direttamente da Bamberg, Baviera, Vito Lavita con “Danzare” (pronunciato “Dànzare”):

L’ambientazione del video è una non ben precisata località della provincia italiana (anche se è stato girato a Bamberg, come testimonia un articolo comparso sul quotidiano Oberfranken dal titolo ai limiti del bimbominkiese), lo stile è vagamente anni ’50 e le bandiere tricolore abbondano.

Il testo è leggero leggero (non facciamo i grammarnazi e sorvoliamo sul verso”Tu sei incantante”) e la canzone sembra fatta apposta per scalare le vette delle classifiche e imporsi come tormentone dell’estate 2013. Sempre meglio del pulcino Pio.

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A volte ritornano

La scorsa estate, a causa della trasferta californiana, ho dovuto rinunciare all’ormai consueto pellegrinaggio al di là delle Alpi per uno o più concerti dei Die Ärzte, simpatico terzetto berlinese di cui ho già parlato in un post precedente. Ma a tutto c’è rimedio: i tre mattacchioni, infatti, dopo un tour dal nome profetico “Das Ende (ist noch nicht vorbei)”, cioè “La fine (non è ancora arrivata)”, tornano in autunno con il tour “Das Comeback”. E io non mi faccio certo sfuggire l’occasione.

La data più comoda (o meglio, meno scomoda) è quella del 27 ottobre a Friedrichshafen: il concerto è di sabato e la città all’estremo sud della Germania, sul lago di Costanza. Praticamente in Svizzera. Passano le settimane e finalmente eccomi qua, pronta a partire. Il 26, per scrupolo, controllo le previsioni meteo: in mattinata è prevista pioggia, nel pomeriggio e in serata neve. Come neve? A ottobre?! Va be’, sono sopravvissuta a un concerto all’aperto a Capodanno a Colonia, sopravviverò anche a questo.

Il viaggio parte subito col piede sbagliato: il treno è italiano (speravo in un bel treno svizzero), il mio posto riservato è scomparso e appena passato il confine un controllore mi dice che non farò mai in tempo a prendere la coincidenza a Zurigo. Ma come, ci sono 25 minuti fra un treno e l’altro e siamo partiti in orario! Per qualche motivo a me ignoto, però, l’arrivo è previsto con almeno 40 minuti di ritardo, quindi mi tocca andare a farmi cambiare il biglietto e saltare su un treno fino a Schaffhausen, dove devo aspettare un’oretta la mia seconda coincidenza. Ne approfitto per fare un giro nel centro storico.

Fontana a Schaffhausen

Fontana a Schaffhausen

Arrivo a Friedrichshafen senza problemi, lascio lo zaino in ostello e vado alla fiera, dove si tiene il concerto. Gli Ärzte non deludono mai: più di 3 ore di concerto e né loro né il pubblico sembrano stancarsi mai. Il 27 ottobre è anche il compleanno di Farin Urlaub, il chitarrista, e ogni tanto spuntano cappellini di carta, palloncini e parte un “Happy birthday”. Durante “Unrockbar” la band chiede come al solito al pubblico di sedersi per terra e saltare in piedi all’inizio del ritornello. Un gruppetto di fan approfitta del momento di relativa calma per accendere qualche stellina e infilzarla in un dolce a mo’ di torta con le candeline. Commento di Farin: “Qui abbiamo dei professionisti”.

Nel mezzo del casino

Durante le canzoni più punk non mancano i patiti del crowdsurfing. Per la prima volta nella mia vita, e anche in quella di chi sta sul palco, fa crowdsurfing anche un ragazzo in sedia a rotelle, che viene trasportato fino alla prima fila con tutta la sedia. Respect.

Più o meno a metà concerto mi giro e, nel mezzo del casino, vedo una mia amica di Berlino. Baci, abbracci e “Oh my God” a non finire. E non mi faccio mancare un’altra carrambata alla fine del concerto, quando incontro un’altra amica, con la quale ho girato la Germania in lungo e in largo. Mi scende quasi la lacrimuccia. Entrambe vanno anche al concerto del giorno successivo e alloggiano in alberghi diversi, quindi ci salutiamo e alla prossima.

La mattina successiva approfitto del tempo che mi rimane per fare una passeggiata sul lungolago. Se la temperatura non fosse polare apprezzerei di più il giro turistico. Il simbolo di Friedrichsfahen è lo Zeppelin, in onore della fabbrica di dirigibili fondata dal conte Ferdinand von Zeppelin, e se ne trovano un po’ ovunque.

Zeppelin

Il viaggio di ritorno fila liscio e l’unica nota negativa è il controllore italiano che ci degna della sua presenza soltanto a 5 minuti dall’arrivo e si ostina a parlare in italiano con due turiste mediorientali che tornano dalla svizzera cariche di borse griffate. Vedendo le loro espressioni perplesse, traduco in inglese quello che dice il controllore, che continua comunque a parlare, parlare, parlare e si lascia scappare due tizi che stavano palesemente viaggiando senza biglietto. Complimenti.

Il passaggio dalla stazione ferroviaria a quella della metropolitana è uno shock come al solito (riusciranno a sistemarla per l’Expo?), ma decido di ignorare tutto: non voglio rovinare il buon umore di questo weekend.

PS Peccato che due giorni dopo sia arrivato il conto da pagare: sciarpa, guanti e vestiti pesanti non sono bastati e sono a casa col raffreddore. Altro che Dottori…

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Essendo questo blog nato come diario di viaggio, mi sembra sensato usarlo per parlare della mia trasferta svizzera pasquale. Piccola premessa: molte delle mie trasferte mitteleuropee sono legate a concerti: visto che uno dei miei gruppi preferiti non suona mai in Italia, sono costretta a valicare le Alpi per vederli dal vivo. Si tratta dei Die Ärzte (in italiano “I Dottori”), band berlinese sconosciuta al di fuori dei paesi di lingua tedesca, ma popolarissima in Germania, con tour che vanno in sold out nel giro di pochi giorni. Ma ogni tanto i tre dottori si stufano dei megaconcerti in location enormi e organizzano spettacoli sotto falso nome in locali minuscoli. Ed è proprio a uno di questi “concerti segreti” che ho partecipato sabato scorso.

Die Ärzte aka Laternen-Joe © Kofmehl.net

L’inizio del viaggio non è dei migliori: 35 minuti di ritardo per problemi alle porte del treno. Un classico. La signora seduta di fronte a me, un’americana che vive in Italia da 20 anni, mi chiede se vado a Zurigo a trovare la famiglia per Pasqua e io le rispondo che vado a vedere un concerto. Al che segue questa conversazione:

“Lei è tedesca, vero?”
“Ehm, no.”
“Ah, no? È milanese?”
“Sì.”
“Davvero? Complimenti!”

Rimango un attimo perplessa. Solo più tardi scoprirò che la signora usa il termine “complimenti” come intercalare e lo infila quasi in ogni frase.

A Zurigo cambio treno e arrivo a Solothurn senza problemi. Una precisazione: dal punto di vista linguistico, la Svizzera è oltremodo frustrante. Nella cosiddetta “Svizzera tedesca” i cartelli, la segnaletica e tutte le comunicazioni scritte sono effettivamente in tedesco, ma le persone parlano una variante locale che è assolutamente incomprensibile. Non solo fra loro, ma anche nei negozi, negli uffici, alla stazione. Ogni volta devo chiedere “Wie bitte?”, al che passano tedesco standard. Anche alla reception dell’ostello: il ragazzo al banco inizia a parlare, poi, vedendo il vuoto nei miei occhi, mi chiede “Soll ich Hochdeutsch sprechen?” cioè “Preferisce che parli in tedesco?” Ja, bitte.

(E comunque, l’accento svizzero fa morire dal ridere. L’effetto Rezzonico resta invariato sia in italiano, che in tedesco.)

Vista dell'Aar dall'ostello

La Fontana della Giustizia

Problemi linguistici a parte, Solothurn è una cittadina deliziosa, con la parte vecchia in stile barocco e molte fontane. (È anche detta “La città dalle 11 fontane”.) Il concerto è devastante: la setlist è tiratissima e pensata per un piccolo club punk-rock; in pratica si poga dall’inizio alla fine. Per fortuna i tre non perdono l’abitudine di sparare cazzate fra una canzone e l’altra, un classico dei loro concerti, così ogni tanto ci concedono un po’ di respiro. Alla fine della serata sono dolorante ma soddisfatta. Per tornare all’ostello devo fare un giro alternativo, perché la security del locale ha bloccato la strada dalla quale sono arrivata, probabilmente per evitare potenziali lamentele per schiamazzi da parte degli abitanti della via. La quiete pubblica prima di tutto.

La Fontana dei Pesci e la Torre dell'Orologio

Poteva mancare una mucca in Svizzera?

L'insegna di un kebabbaro nella città vecchia

La mattina seguente scendo a fare colazione e trovo ad aspettarmi, invece del solito pane a fette confezionato o dei panini avanzati dal giorno prima, del pane  rustico appena sfornato. Una delizia. E visto che è Pasqua, ci sono anche le uova sode decorate. Faccio in tempo a fare un ultimo giro per la città vecchia, trovo una pasticceria/cioccolateria aperta e compro il dolce tipico locale, un tortino a base di mandorle. I miei treni sono in orario e il viaggio di ritorno fila liscio. Comunque anche nella precisa Svizzera ogni tanto hanno dei problemi: sul tabellone della stazione di Zurigo leggo che un treno ha un “ritardo indefinito”. Come direbbe l’agente Huber: proprio brutto, brutto, brutto.

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