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La parola dell’anno 2015

Approfitto dell’ultimo giorno disponibile del 2015 per dedicarmi al consueto appuntamento con la Parola dell’Anno. La Gesellschaft für deutsche Sprache assegna quest’anno il primo posto a Flüchtlinge, ossia rifugiati, termine che nel corso del 2015 è stato usato molto spesso non solo in Germania, ma in tutta Europa.

Questo è il resto della classifica.

2) Je suis Charlie: slogan che ha riempito i media e i social network subito dopo l’attacco alla redazione di Charlie Hebdo in gennaio.

3) Grexit: crasi anglofona formata da Greece e Exit, ossia lo spauracchio della possibile uscita della Grecia dall’unione monetaria europea, che ha tenuto con fiato sospeso gli economisti del Vecchio Continente.

4) Selektorenliste: “lista dei selettori”, ossia l’elenco dei termini di ricerca online segnalati dalla statunitense NSA alla Bundesnachrichtendienst, l’agenzia di intelligence tedesca, che ha accettato di buon grado di collaborare, controllando e archiviando i termini ricercati dagli internauti tedeschi. Senza avvisarli di essere spiati, ovviamente.

5) Mogel-Motor: il “motore taroccato”, cioè il software che falsava i dati sulle emissioni inquinanti che ha fatto scoppiare lo scandalo Volkswagen.

6) durchwinken: verbo impossibile da tradurre letteralmente, si potrebbe parafrasare con “lasciare passare con una strizzatina d’occhio” e si riferisce all’atteggiamento di alcuni stati dell’Unione Europea, che negli ultimi mesi hanno lasciato passare nel proprio territorio migliaia di migranti e richiedenti asilo senza controlli.

7) Selfie-Stab: gli onnipresenti “bastoni da selfie”, dopo avere invaso le località turistiche del globo ed essere stati messi al bando in molti luoghi in quanto ritenuti oggetti molesti, si conquistano un posticino anche fra gli appassionati di linguistica.

8) Schummel-WM: in seguito alle accuse di corruzione mosse ai vertici della Fifa, si è ricominciato a parlare di “Mondiale Truccato”, ossia della possibilità che l’assegnazione dei Mondiali di Calcio 2006 alla Germania fosse stata comprata.

9) Flexitarier: contrazione di flexibel Vegetarier, cioè “vegetariano flessibile”, termine che si riferisce a chi, pur non avendo abolito completamente la carne dalla propria dieta, ne limita il consumo.

10) Wir schaffen das!: “Ce la faremo!” Slogan che ricalca lo statunitense “We can do it!”, è il motto con cui la cancelliera Merkel si è presentata alla Germania e al mondo per affermare che il Paese avrebbe potuto accogliere il gran numero di migranti che nel 2015 si sono riversati verso i confini tedeschi.

Weil wir Dich lieben

Come era facilmente prevedibile, la frequenza con la quale aggiorno questo blog continua a essere bassina. Meno male che a dicembre c’è l’appuntamento con la Parola dell’Anno. Ma prima di occuparmi della classifica più amata dai filologi d’Oltralpe, voglio dedicare due righe alla nuova campagna pubblicitaria della BVG, l’azienda di trasporti di Berlino.

Il motto è “Weil wir Dich lieben” (“Perché ti amiamo”) e lo spot già diventato virale:

Il rap di Kazim Akboga inanella una lunga serie di situazioni in cui ci si può imbattere sui mezzi pubblici (uomini a cavallo, donne che tagliano cipolle, cani travestiti da squali) e di fronte ai quali lui, nei panni di autista/controllore, non fa una piega (“Ist mir egal” significa “Va bene, non mi interessa”). Almeno fino a quando non scova due passeggeri senza biglietto: quello non è assolutamente “egal”.

Aktion Arschloch

Di ritorno dalla mia vacanza londinese, scopro che “Schrei nach Liebe”, singolo con cui i Die Ärzte tornarono sulle scene nel 1993 dopo 5 anni di pausa di riflessione, è di nuovo nella top ten in Germania. Il motivo? Un’iniziativa a favore dei rifugiati.

La canzone è un inno antifascista: nel testo la band si rivolge a un neo-nazista, chiamandolo esplicitamente str*nzo (Arschloch) nel ritornello. Originariamente pubblicato in un periodo nel quale i neo-nazi stavano tornando a far parlare di sé, il brano è stato scelto per portare l’attenzione dei media sugli atteggiamenti razzisti che stanno accompagnando l’arrivo di migliaia di profughi in Europa e, soprattutto, in Germania.

Venuta a conoscenza dell’iniziativa, la band ha annunciato che devolverà l’intero ricavato delle vendite e dei diritti d’autore a Pro Asyl, un’associazione che si occupa dei diritti dei richiedenti asilo.

Info: www.aktion-arschloch.de

Traduzioni improbabili

Quando ricevo una notifica che mi informa che questo blog ha conquistato un nuovo lettore sono sempre un po’ dispiaciuta. Cioè, mi fa piacere che qualcuno reputi interessante il mio angolino di web, ma al tempo stesso temo che quel qualcuno rimarrà assai deluso dagli aggiornamenti sempre più sporadici di questa paginetta dedicata alla Germania e alla cultura tedesca.

Mi riprometto sempre di scrivere più spesso, e ogni volta la promessa va a farsi benedire. Forse quando sarò tornata dalle ferie sprizzerò energia da ogni poro e riuscirò a essere più produttiva. (L’importante è crederci.)

Per il momento mi limiterò a condividere una chicca trovata l’altra sera in metropolitana: l’iniziativa è interessante e utile, si tratta di cittadini volontari che si mettono a disposizione per aiutare turisti sperduti a raggiungere la propria meta. Il messaggio è, giustamente, riportato in varie lingue. Non posso giudicare come sia stato tradotto negli altri idiomi, ma la versione tedesca è alquanto sgrammaticata.

Fragen Sie mich

Fragen Sie mich

A chi non è mai capitato di uscire dal parrucchiere pensando “Ma cos’è ‘sto topo morto che ho in testa?” Il tema viene affrontato, in tutta la sua drammaticità, nella canzone dei Die Ärzte “Mein Baby war beim Frisör” (“La mia ragazza è andata dal parrucchiere”), secondo singolo tratto dal concept album del 1996 “Le Frisur”, interamente dedicato all’argomento capelli.

Il brano narra la vicenda dal punto di vista del fidanzato della sventurata, il quale, vedendola tornare con un’acconciatura discutibile, non la prende molto bene. Il video, girato in un hotel nei pressi di Las Vegas, è un tripudio di cofane fonatissime e colori acidi anni ’90 e le fanciulle che vi compaiono non fanno una bella fine.

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Malattie tedesche

Fra le migliaia di classifiche ed elenchi che impazzano sul web, ne ho trovato uno dedicato a malattie peculiari apparentemente molto diffuse in Germania.

Kevinismus: deriva dalla moda di affibbiare ai propri pargoli nomi stranieri come Justin, Mandy o, appunto, Kevin. Alcuni studiosi avrebbero scoperto che spesso chi porta questi nomi ha difficoltà scolastiche, in quanto da un lato sono scelti soprattutto da genitori di classe sociale bassa e istruzione limitata, dall’altro gli insegnanti avrebbero dei pregiudizi nei confronti di questi studenti. Si tratta di una malattia diffusa anche in Italia: già nel 1995 Ivano, protagonista del film “Viaggi di nozze”, voleva chiamare il futuro figlio proprio Kevin.

“Che c'hai in mente, Iva'?” Fonte foto: www.cineblog.it

“Che c’hai in mente, Iva’?”
Fonte foto: www.cineblog.it

Föhnkrankheit: “malattia del Föhn”, vento caldo che provocherebbe mal di testa.

Kreislaufzusammenbruch: letteralmente “collasso circolatorio”, è un termine che viene usato come sinonimo di “non sentirsi tanto bene”.

Hörsturz: perdita improvvisa dell’udito, a quanto pare molto comune e dovuta allo stress.

Frühjahrsmüdigkeit: “stanchezza di primavera”, ossia il senso di affaticamento che accompagna il cambio di stagione. Chi ha stilato la classifica fa notare come il corrispettivo inglese “spring fever” abbia il significato opposto e includa fra i sintomi iperattività e vigore.

Fernweh: contrario di Heimweh (“nostalgia di casa”), significa letteralmente “dolore per ciò che è lontano” e si riferisce al desiderio di viaggiare.

Putzfimmel: letteralmente “ossessione per la pulizia”. Posso confermare per esperienza personale che si tratta di una malattia diffusa anche al di fuori dei confini tedeschi.

Werthersfieber: la “Febbre di Werther” deve il nome al protagonista del romanzo di Goethe “I dolori del giovane Werther”, che si struggeva d’amore fino alla morte.

Ostalgie: sindrome particolarmente diffusa nelle zone della ex DDR confluite nella Repubblica Federale dopo la caduta del Muro di Berlino. Si tratta di nostalgia per la Germania Est (Ost significa appunto Est), di cui vengono ricordati solo gli elementi positivi, in una sorta di “Si stava meglio quando si stava peggio”.

Un film che sguazza nella Ostalgie: “Good bye Lenin!” Fonte foto: www.openmag.it

Un film che sguazza nella Ostalgie: “Good bye Lenin!”
Fonte foto: www.openmag.it

Zeitkrankheit: ossia “malattia dei tempi”, è l’insieme delle preoccupazioni tipiche di una determinata epoca storica.

Weltschmerz: letteralmente “dolore del mondo”, si riferisce alla consapevolezza che il mondo non è come lo si vorrebbe e non lo si può cambiare.

Ichschmerz: “dolore dell’io”, simile a Weltschmerz ma riferito all’impossibilità di cambiare se stessi.

Lebensmüdigkeit: l’espressione “stanchezza di vivere” non è solo il male di vivere spesso associato alla depressione, ma viene utilizzata anche in modo sarcastico per commentare azioni particolarmente stupide o pericolose, ad esempioSpinnst du? Bist du lebensmüde?” (“Ma sei matto? Cos’è, sei stanco di vivere?”)

Zivilisationskrankheit: le “malattie della civiltà” sono i disturbi tipici del “Primo Mondo”, come stress, obesità, diabete.

Torschlusspanik: il “panico della porta che di chiude” è il senso di ansia che si prova quando ci si rende conto che, con il passare del tempo, le opportunità che la vita ci offre si fanno sempre più ridotte e potrebbero non ripresentarsi. In questo scenario, una scelta sbagliata potrebbe precluderci per sempre un determinato risultato.

La non-parola del 2014

Fonte foto: www.stern.de - © Marc Eich / DPA

Fonte foto: www.stern.de – © Marc Eich / DPA

Dopo l’appuntamento di dicembre con la parola dell’anno, a gennaio tocca alla Unwort des Jahres, la non-parola dell’anno. La giuria indipendente, presieduta dalla prof.ssa dott.ssa Nina Janich (i tedeschi tengono ai titoli accademici forse più degli italiani), ha scelto “Lügenpresse”, cioè “stampa bugiarda”. L’espressione era stata già utilizzata in passato, in particolare durante il nazismo, per descrivere i giornali che si opponevano al regime; si collega al concetto di disinformazione, poiché nasce dalla convinzione che i media diffondano deliberatamente notizie false (GOMBLOTTO!) e getta discredito sull’intera categoria senza fare distinzioni.

Fra le centinaia di espressioni prese in considerazione, due hanno ricevuto una menzione speciale: “Erweiterte Verhörmethoden”, traduzione tedesca dell’inglese “enhanced interrogation techniques” (“tecniche di interrogatorio avanzate”), è un eufemismo che si riferisce ai metodi usati dalla CIA per ottenere informazioni dai presunti terroristi (perché dire tortura fa brutto); “Russland-Versteher”, termine che compare anche nella classifica della Gesellschaft für deutsche Sprache, descrive invece chi tenta di trovare una giustificazione all’azione militare russa in Crimea.

Epic fail

Il povero Martin Schulz, presidente del parlamento europeo, non ha un buon rapporto con i primi ministri italiani, e non certo per colpa sua. Dopo il leggendario discorso del 2003, nel quale Berlusconi gli disse che sarebbe stato perfetto nel ruolo di kapò in un film sui campi di concentramento, tocca ora a Matteo Renzi farci fare l’ennesima figuraccia.

La settimana scorsa Schulz era ospite del programma francese Le Petit Journal e, nel corso della puntata, è stato trasmesso un breve video sull’incontro con il nostro presidente del consiglio, che ha inanellato una figuraccia dietro l’altra.

(Breve parentesi prima di continuare: vorrei ricordare alla persona che ha aggiunti i sottotitoli in italiano che “un po’” SI SCRIVE CON L’APOSTROFO,  NON CON L’ACCENTO. Grazie.)

1) Arriva in ritardo. Per noi italiani sarà anche normale considerare gli orari in modo elastico, ma, almeno negli incontri ufficiali, sarebbe cosa buona e giusta arrivare puntuali. Soprattutto se ti aspetta un tedesco. Ricordo ancora che, durante il corso di Business German a Berlino, l’insegnante aveva sottolineato che agli incontri di lavoro, colloqui compresi, è caldamente consigliato arrivare con almeno 15 minuti di anticipo per evitare di essere considerati ritardatari.

2) Si ferma a fare un selfie con delle ragazze. Ora, Renzi si sente gggiovane dentro e twitta a ogni ora del giorno e della notte, ma se già arrivi in ritardo, il minimo che puoi fare è non far perdere ulteriore tempo. Ma si sa, un selfie non si nega a nessuno.

3) Si fa i fatti suoi mentre Schulz parla e chiede “Finito? Ah, no?”. Ora, non so se Schulz fosse veramente interessato a quello che aveva detto Renzi poco prima, ma almeno aveva dato l’impressione di esserlo. Dovrebbe essere la lezione numero uno del corso “Diplomazia for dummies”, oltre che una regola base di educazione.

I tedeschi, che come al solito hanno una parola per tutto, hanno l’espressione perfetta per descrivere come mi sento in questo momento: sich fremdschämen, ossia vergognarsi per una cosa fatta da altri. Ma anche un bell’epic fail ci sta bene.

Che la musica pop fosse un ottimo mezzo per migliorare la conoscenza di una lingua straniera lo avevo capito in tempi non sospetti (devo ringraziare il simpatico trio berlinese Die Ärzte se il mio tedesco non è ancora morto). A quanto pare, però, non l’ho capito solo io: qualche tempo fa la sezione francese del Goethe Institut ha usato la canzone “Guten Tag” dei Wir sind Helden come base per esercizi, con tanto di suggerimenti agli insegnanti sulle attività da fare in classe (commentare ritagli di riviste, discussioni sui temi trattati nella canzone ecc.)

Il testo completo si trova al punto 4 del Lehrerblätter ed è incentrato sul linguaggio della pubblicità. Il video è molto simpatico, in stile fotoromanzo Cioè:

Non so quali siano stati i risultati, ma il fattore Ohrwurm è abbastanza alto: male che vada gli studenti sapranno almeno dire “Buongiorno”.

12 mesi a Berlino

Fonte foto: www.berlin.de

Fonte foto: www.berlin.de

Per il primo post del 2015 ho pensato di gettare uno sguardo al 2014. Idea originalissima, lo so. Chi è su Tumblr forse conosce già “When you live in Berlin”, account di una expat britannica trasferita a Berlino che commenta eventi vari ricorrendo a GIF animate. Il Berliner Morgenpost le ha chiesto un riassunto del 2014 e lei ha interpretato la richiesta a modo suo.

12 Monate in Berlin – ein Jahresüberblick

Guardando gennaio e dicembre, da italiana abituata ai tempi biblici dei lavori pubblici, mi consolo un po’. (Chi non fosse al corrente può cercare “nuovo aeroporto Berlino” o simili su Google. Buona lettura.)